Ieri, la Ong Open Arms, unica presente con una propria imbarcazione nel raggio di miglia, ha diramato il video girato dopo un naufragio avvenuto di fronte alle coste libiche, in cui hanno perso la vita sei persone. Tra queste persone c’era il piccolo Joseph, un bimbo di soli sei mesi, morto in attesa dell’arrivo dei soccorsi sanitari davanti agli occhi della madre, le cui grida di dolore strazianti saranno difficili da dimenticare per chi ha assistito alla scena.
Nella giornata di ieri un altro naufragio: a perdere la vita 74 persone partite dalla Libia il giorno precedente su un barcone troppo instabile per sorreggerne il peso. Secondo le prime testimonianze, a lasciare le coste africane sarebbero stati almeno in 100. Solo 47 persone sono state tratte in salvo, mentre sono stati recuperati 31 corpi.
Solo negli ultimi tre giorni sono state salvate dalla Open Arms oltre duecento persone, mentre altre 19 sono morte.
Questa gravissima crisi umanitaria impone delle riflessioni serie sulla gestione dei flussi migratori e la pregnanza degli obblighi di soccorso in mare. Se la magistratura non avesse costantemente vigilato sulla correttezza di alcune scelte dettate dall’applicazione acritica della normativa vigente (che ostacola il ruolo delle Organizzazioni internazionali non governative, come Open Arms) oggi il bilancio delle vittime sarebbe ancora più elevato e ad aver perso tutto sarebbe l’intera umanità.